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mercoledì 12 maggio 2010

227) FEDERALISMO FISCALE: AVANTI TUTTA!

Bossi 1

Salvo colpi di scena, entro la fine di questa settimana ci sarà il via libera da parte della Commissione Bicamerale presieduta da Enrico La Loggia al federalismo demaniale, il primo passo per l'attuazione concreta della riforma federale del fisco.

"Molto soddisfacente il lavoro svoltosi in Commissione, durante il quale si è proceduto con la conclusione dell'audizione del ministro Calderoli". Così Enrico La Loggia, presidente della Commissione Parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale. "Particolarmente significativa l'intenzione manifestata dal ministro in ordine alla nostra proposta, condivisa dall'intera Commissione, di destinare all'abbattimento del debito pubblico i proventi derivanti dalla valorizzazione dei beni trasferiti dal patrimonio dello Stato agli enti territoriali", aggiunge La Loggia.

L'INCHIESTA - Diecimila terreni, 9 mila fabbricati, 5 mila chilometri di spiagge, 234 corsi idrici, 69 laghi per un’estensione di 550 chilometri quadrati: diventeranno “federali”. Sono i 17.400 beni che ora appartengono allo Stato, è la prima spartizione: entro il 21 maggio passeranno alla gestione di Regioni, Province, Comuni e alle future città metropolitane.

Il federalismo demaniale. Si chiama federalismo demaniale, ed è il primo passo reale della vecchia “devolution” avviata in Parlamento. Alla fine dello scorso anno, infatti, il Consiglio dei Ministri ha varato uno schema di decreto legislativo che si intitola appunto federalismo demaniale e che fissa i principi generali e le procedure per regolare il trasferimento di parti del patrimonio immobiliare dello Stato a favore degli enti territoriali. Il decreto legislativo del governo, ora all’esame del Parlamento, da approvare e trasformare in legge entro il 21 maggio, pur non contemplando la cessione dei beni storici e culturali del nostro Paese lascia aperta più di una questione.

Le origini del Demanio. Partiamo dal principio. La materia oggetto del decreto del governo ha origini lontane. Il Codice civile del 1942, infatti, stabilisce che lidi, spiagge, porti, fiumi, laghi, acque pubbliche, miniere, aeroporti, beni storici, archeologici e artistici, ferrovie, grandi strade, acquedotti, caserme, foreste appartengano allo Stato e siano gestiti dal Demanio. Nel tempo però sono entrati in scena nella nuova Costituzione anche gli enti territoriali: Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane, parte integrante dello Stato, con il loro diritto a gestire una parte del patrimonio pubblico.

Idea di base: la “valorizzazione” dei beni. Il passaggio dei beni a questi enti territoriali avverrà gratuitamente e l’idea cardine alla base del decreto è quella di “valorizzare” tali beni, sui quali ora lo Stato guadagnerebbe davvero poco. La ragioneria dello Stato, infatti, ha spiegato che il patrimonio statale vale 46,823 miliardi di euro ma ne frutta appena 189 milioni l’anno: il demanio marittimo rende allo Stato 97 milioni di euro l’anno, cioè 190 euro per ogni 100 metri di spiaggia, le miniere fruttano 347 mila euro, mentre dai canoni di concessione per l’uso delle acque pubbliche si ricavano appena 2,7 milioni.

Per quanto riguarda le spiagge, ad esempio, le Regioni hanno la competenza legislativa sul turismo, ma i canoni demaniali li riscuote lo Stato, così oggi i Governatori non sono spinti in alcun modo a legiferare sulla materia.

Nell’ambito del federalismo demaniale – rende noto inoltre la Ragioneria – il patrimonio trasferibile e’ pari a 2,975 miliardi, in quanto il resto e’ indisponibile o demanio storico-artistico che e’ trasferibile solo a determinate condizioni.

Una quota “irrisoria” del patrimonio pubblico. L’operazione riguarderà dunque una «quota irrisoria» del patrimonio pubblico, fa sapere il direttore dell’Agenzia del Demanio, Maurizio Prato. Un patrimonio pubblico per lo più sconosciuto, se si pensa che il termine concesso a tutte le amministrazioni per comunicare i beni posseduti scadeva il 31 marzo scorso, ma la conclusione di queste comunicazioni è ancora molto lontana.

Il primo decreto attuativo del federalismo fiscale potrebbe valere solo 5,5 miliardi di euro secondo il Demanio. Prato, infatti, ha dichiarato nei giorni scorsi che, sebbene «non è dato conoscere preventivamente l’entità quantitativa dei beni di proprietà dello Stato che saranno concretamente incisi dall’operazione», difficilmente la somma potrà superare i 5 miliardi.

Per Calderoli: “Tanti i beni da riutilizzare”. In disaccordo sulle cifre fornite da Prato il ministro per la semplificazione normativa, Roberto Calderoli. «Il patrimonio demaniale – ha dichiarato il politico leghista – è una cosa, ma ci sono tanti altri beni che non fanno parte di questo patrimonio». Tra questi i fiumi, che solo teoricamente non valgono nulla ma che potrebbero essere dati agli enti locali e da questi girati in concessione ai produttori di energia elettrica. Oppure gli edifici che le amministrazioni statali hanno in uso ma non utilizzano e che verrebbero riconvertiti e utilizzati.

A chi andranno i beni demaniali. Ma al di là dei numeri, i dubbi e le questioni aperte dal federalismo demaniale restano tante: prima fra tutte il criterio con il quale i beni dello Stato dovranno essere trasferiti: non è chiaro se questi verranno ceduti alle Regioni e da queste alle loro province e comuni, come chiedono i governatori “pro regionalismo”, oppure dai comuni, come vorrebbero i sindaci fautori del “municipalismo”. Il testo portato in Parlamento prevede che lo Stato compili un elenco dei beni cedibili, che Regioni ed enti locali scelgano cosa prendersi e che l’attribuzione si faccia considerando le dimensioni territoriali, le funzioni esercitate e la capacità finanziaria degli enti che li domandano.

La mappa dei beni tra Nord e Sud. Aperto anche il problema dell’equilibrio – o meglio disequilibrio – tra le diverse Regioni ed enti locali, da cui diventa sempre più chiaro il “peso” che il provvedimento potrà avere sulle finanze delle autonomie locali. La Corte dei Conti, in audizione alla Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale conferma che il valore dei beni che potrebbero essere trasferiti si aggira intorno ai 3 miliardi. Una cifra che il presidente della Corte, Tullio Lazzaro, definisce “relativamente limitato”. Si tratta, tra l’altro, spiega sempre Lazzaro, di un patrimonio “fortemente sperequato”, per quanto riguarda la distribuzione e il valore.

I beni del nord valgono il doppio di quelli del sud. Dati alla mano, in effetti, se i circa 17.400 beni a disposizione sono distribuiti più o meno uniformemente sul nostro territorio, il loro valore indica un notevole gap tra settentrione e mezzogiorno. Si parla, infatti, di 1,3 miliardi al nord contro 756 milioni al sud.

Il Lazio la fa da padrone, seguito dal Veneto. La prima regione del sud a comparire è la Campania al quarto posto, una delle 3 regioni del sud nelle prime 10. Di quei 3,2 miliardi di beni disponibili, infatti, un quarto sta in un’unica regione, il Lazio che, in base al trasferimento dei beni, potrebbe contare su 859.751 milioni. Si tratta del 27% del totale del valore trasferibile contro un peso in termini di popolazione residente del 9,4%. Un dato che salta agli occhi se paragonato, ad esempio, a quello della Lombardia dove è localizzato il 9,8% del valore dei beni trasferibili a fronte di un peso del 16% in termini di cittadinanza. Il Veneto (364 milioni) ne ha più della Lombardia (315) che però ha il doppio degli abitanti. Liguria e Marche hanno la stessa popolazione, ma la prima ha beni demaniali cinque volte superiori alla seconda (184 milioni contro 38).

Una guerra tra poveri? Insomma, secondo la Corte dei Conti, nonostante il federalismo demaniale possa rappresentare un “volano” per la riqualificazione dei territori, la “dimensione ridotta dei ‘valori finanziari’ e la forte disomogeneità della distribuzione territoriale rischiano di rendere una distribuzione molto frazionata dei beni, in cui prevalga il solo criterio territoriale, poco produttiva”. Il federalismo demaniale, insomma, rischia di trasformarsi in una guerra tra poveri visto che, come abbiamo visto, dei 46,8 miliardi di patrimonio a disposizione il rendimento è appena di 189 milioni l’anno.

L’opposizione. Le opposizioni, Pd in testa chiedono più chiarezza su costi e garanzie della coesione nazionale. “Nessuna tabella – attacca la segretaria del partito di Bersani – è finora arrivata nelle commissioni parlamentari competenti. In questo quadro è sconcertante che il ministro degli Interni Maroni minacci l’interruzione della legislatura se non verrà completato il federalismo fiscale”.

Il debito pubblico. I nodi non mancano: altra questione spinosa è quella legata al debito pubblico italiano, in parte garantito da questi beni di cui ora lo Stato si priva. Lo Stato, infatti, è obbligato a usare i proventi delle sue dismissioni per la riduzione del debito pubblico, ma Regioni, Comuni e Province non hanno questo obbligo. C’è poi un ulteriore rischio: il decreto prevede la possibilità di attribuire i beni immobili direttamente a fondi immobiliari costituiti da enti territoriali a cui possono partecipare anche soggetti privati, con il pericolo di svendere il patrimonio immobiliare pubblico. Sarebbe dunque necessario da parte degli enti locali l’mposizione di vincoli alla destinazione d’uso di questi immobili.

Il percorso della legge. Anche le scadenze relative al provvedimento sembrano essere troppo ravvicinate: la legge si deve fare entro il 21 maggio, data entro la quale ci sarà il secondo e definitivo passaggio a Palazzo Chigi. Quindi, entro 21 agosto tutte le amministrazioni pubbliche centrali dovranno dire quali immobili e terreni vogliono tenere per sè e motivare la loro decisione, a settembre l’Agenzia del demanio pubblicherà l’elenco dei beni disponibili.

Una lista di massima il ministero dell’Economia già ce l’ha, su quella ha stimato i 3,2 miliardi di beni trasferibili. Quindi sarà il turno di regioni ed enti locali, che entro il 21 dicembre dovranno dire quali di quei beni vogliono prendere. Potrebbe quindi accadere che vi siano due diverse amministrazioni che richiedono il trasferimento dello stesso bene, ma in questo caso non è stabilito chi sarà l’effettivo beneficiario o se tra i due contendenti il bene rimarrà allo Stato.

Dal 2011 entrano in scena i nuovi proprietari. A partire dal 21 gennaio 2o11 potranno essere varati i decreti per l’attribuzione ai nuovi proprietari. Nel caso tutto dovesse stare nei tempi, considerati “strettissimi” dalla stessa Agenzia del demanio che ha consigliato al governo di prevedere tempi più lunghi, il compito di fare in modo che tutto fili per il meglio sarà degli amministratori locali e le decisioni anche dei cittadini. Sindaci, governatori, presidenti di provincia dovranno indicare sui siti Internet dell’amministrazione cosa intendono fare con i beni ricevuti e la legge prevede che su questi progetti si possano indire delle consultazioni pubbliche, anche telematiche, tra i contribuenti.

Il parere dei cittadini. I beni demaniali di proprietà degli enti territoriali “riconvertiti” ad esempio in alberghi o supermercati dovranno dunque passare al vaglio dei cittadini, che decideranno se approvare o meno l’idea e la “valorizzazione” di quei beni. Attenzione, però: le amministrazioni locali non sono obbligate a consultare i cittadini. Se lo faranno, quei beni non più statali saranno paradossalmente, per la prima volta, veramente dello Stato. (da affariitaliani.it)